Il giudice della separazione e del divorzio è un soggetto terzo e neutrale, essendo questa sua terzietà connaturata alla stessa sua figura istituzionale, tuttavia il giudice non è e non fa il mediatore familiare.
Il mediatore deve avere una neutralità diversa e, se possibile, di grado ancora più elevato: se la mediazione dovesse fallire, infatti, il giudice sarebbe necessariamente chiamato a decidere, e la consapevolezza di questo ruolo di fatto gli impedisce di svolgere una funzione mediativa in senso tecnico, con l’effetto che potrà il giudice procurare una conciliazione ma non potrà mai assumere la veste di mediatore familiare.
Dal mediatore familiare, viceversa, deve sempre esulare il giudizio, così come l’autorità. Egli potrà guidare le parti, sulla base dell’esperienza maturata, verso una determinata soluzione, ma non assumerà mai alcun tipo di decisione per loro.
Nei procedimenti di famiglia, ed in quelli di separazione e di divorzio in particolare, conciliazione e mediazione non sono due concetti sovrapponibili o assimilabili sotto un unico quadro di riferimento ma, almeno se si vuole avere riguardo a quella che comunemente viene intesa come mediazione familiare in senso tecnico, rappresentano due diverse metodiche di approccio al conflitto, proprie di soggetti caratterizzati da diverse professionalità, condotte attraverso interventi di segno diverso e che si collocano in tempi e ambiti fra loro difformi, quantunque per certi versi omogenea sia la finalità ad entrambi sottesa, ovvero quella di spostare la risoluzione del conflitto da un ambito totalmente e radicalmente giurisdizionale a quello di una raggiunta condivisione: e sarà così che l’intervento autoritativo potrà cedere il passo ad una più diretta responsabilizzazione delle parti contendenti, secondo quel progetto di graduale e “morbida” de-giurisdizionalizzazione delle relazioni che massima considerazione deve trovare nei conflitti di natura familiare.
Le differenze fra la conciliazione giudiziale e la mediazione familiare